Episodio 13 | Dialoghi sull’impresa sociale

Dal patrimonio al futuro: i community hub e la valorizzazione territoriale in Sardegna

di Riccardo Casella, con la collaborazione di Erika Mattarella e Andrea Camedda

La diffusione dei community hub in Italia segna un’evoluzione significativa nel panorama della rigenerazione territoriale e dell’innovazione culturale. Questi spazi, caratterizzati dalla loro capacità di fungere da catalizzatori per la coesione sociale e la valorizzazione del patrimonio culturale, applicano un approccio dinamico al concetto di comunità e sviluppo locale. Lo stesso approccio che ha distinto gli interventi dell’associazione Domu Mia in Sardegna, dove in collaborazione con la cooperativa Liberitutti ha dato il via a iniziative che intrecciano l’identità culturale dei territori con nuove modalità di coinvolgimento sociale. Queste iniziative non solo rafforzano il legame tra le persone e il loro ambiente, ma aprono anche nuove strade per l’empowerment delle comunità locali, dimostrando come la cultura e l’innovazione possano essere al centro di un’evoluzione sociale sostenibile. La Sardegna, con il suo ricco tessuto culturale e la sua profonda connessione con la tradizione, offre un contesto unico per l’esplorazione di questi nuovi modelli di sviluppo comunitario, dove i community hub agiscono come veri e propri laboratori per il futuro del territorio.

Luoghi plurali, spazi generativi, laboratori di futuro

Non è semplice dare una definizione univoca di un community hub: la natura dinamica di questo tipo di spazi e la varietà di funzioni che possono assumere rende queste strutture difficili da incasellare. Prima di tutto un community hub è un luogo fisico. Solitamente sorge al posto di una struttura dismessa. Parliamo di ex edifici industriali, cascine inutilizzate nelle periferie delle città ma anche edifici e locali dei centri urbani che hanno smesso di avere una funzione. I community hub reinterpretano questi spazi a beneficio delle comunità, offrendo e co-producendo servizi insieme ai cittadini.

Le aree d’azione di questi centri cambiano a seconda delle specificità del territorio e delle risorse a disposizione degli enti coinvolti. I servizi offerti possono essere di natura culturale, artistica, sportiva, di sensibilizzazione su tematiche ambientali o sociali, di promozione del lavoro oppure di formazione. Le possibilità sono molte, ma il minimo comune denominatore resta uno: valorizzare il territorio attraverso la comunità che lo vive.

Un community hub è un luogo plurale, e la sua pluralità si riflette nelle funzioni che può avere. È uno spazio generativo, di produzione e lavoro, che coinvolge enti e persone anche molto diverse tra loro. Nella stessa struttura possono coesistere artigiani e professionisti del digitale, startup e associazioni del terzo settore. Il risultato è la nascita di nuove realtà lavorative, siano esse caffetterie, fab-lab o web radio. Ciò che conta è che questi hub siano ben radicati nel contesto in cui si inseriscono, ricalibrandosi nel tempo a seconda delle esigenze della comunità.

La pluralità di un community hub lo rende un “terzo luogo” ideale, cioè uno spazio pubblico e sociale dove passare quel tempo non dedicato né al lavoro né alla casa. Questi luoghi sono la risposta alle esigenze di aggregazione dell’era dell’isolamento. L’iperconnessione ci ha resi sempre rintracciabili e potenzialmente sempre al lavoro, i social ci hanno collegati ma allontanati allo stesso tempo hanno raffreddato i nostri rapporti sociali. I terzi luoghi servono a ricreare quegli spazi di aggregazione e felicità di cui hanno usufruito le generazioni che ci hanno preceduto.

Lo sviluppo locale al quale ambiscono i community hub serve anche a cambiare la narrazione delle periferie Italiane. Da luoghi abbandonati, spenti, in spopolamento, a laboratori di futuro. Lontano dai centri metropolitani, invitare i cittadini a mettere in gioco le proprie differenze può portare a un’interazione virtuosa. È così che gli hub sono in grado di attualizzare la provincia, senza escludere tradizioni e specificità, portando alla luce un dinamismo che spesso c’è già ma che in pochi raccontano.

Da zero a community hub: il caso della Sala Michelangelo Pira

A Quartu Sant’Elena, un comune di circa 60.000 abitanti in provincia di Cagliari, è in corso un progetto di riqualificazione urbana iniziato un anno fa. L’oggetto dell’iniziativa è la Sala Michelangelo Pira, una struttura nel cuore della città che in passato aveva già avuto il ruolo di centro di aggregazione, ma che da diverso tempo versava in stato di abbandono. Si tratta di uno stabile confinante con un convento, che si affaccia su un parco pubblico che ne completa le potenzialità urbanistiche.

Il rilancio è iniziato nel 2023, quando il comune ha stanziato circa 300.000 euro per il recupero della struttura. L’obiettivo dell’amministrazione è stato chiaro: restituire alla città questo spazio aggregativo il prima possibile. Il secondo passaggio è stata la manifestazione d’interesse per individuare un partner con il quale co-progettare un luogo per la comunità, intergenerazionale e integrato con gli spazi verdi adiacenti, un community hub a tutti gli effetti. La scelta è ricaduta sulla Cooperativa Sociale Liberitutti di Torino, con la collaborazione dell’associazione locale Domu Mia.

La cooperazione tra Domu Mia e Liberitutti nasce dalla condivisione di valori tra le due realtà. Da un lato Domu Mia era già fortemente radicata sul territorio, dove con le sue attività di volontariato segue dal 2018 la filosofia del s’aggiudu torrau, cioè l’aiuto reciproco dell’antica tradizione sarda. Dal canto suo invece Liberitutti ha portato l’expertise nel costruire e gestire community hub funzionali, maturata in esperienze come quella dei Bagni Pubblici di Via Agliè, una casa di quartiere nella periferia di Torino.

“Sviluppare il territorio vuol dire cambiare il paradigma culturale del territorio stesso. Le associazioni sono abituate a chiedere uno spazio e dei soldi, noi di Liberitutti proviamo a lavorare di rete, coinvolgendo diverse associazioni al fine di avere un risultato migliore” ci ha spiegato Andrea Camedda, membro di Liberitutti. Entrando nel dettaglio del metodo della cooperativa, che condividono con Domu Mia, ha aggiunto: “la valorizzazione del territorio passa sempre attraverso degli attivatori e degli animatori, cioè delle persone che sanno unire i pezzi di un puzzle e avere la creatività giusta per immaginare il futuro di un territorio. Se l’attivatore attiva il processo, anche solo mettendo insieme più soggetti, l’animatore si assicura che ciò che si è creato rimanga in vita. L’attivatore dà il via al progetto, l’animatore se ne prende cura”. L’esperienza di Andrea, cresciuto nell’hinterland torinese, ha portato la sua esperienza applicandola dove lavora adesso, in Sardegna. “Per fare bene questo mestiere l’unica via è parlare con le persone, ottenere la loro fiducia” ha concluso.

La fase successiva dei lavori sulla Sala Michelangelo Pira ha visto il coinvolgimento delle associazioni che operano in città, per sperimentare insieme il miglior utilizzo possibile della struttura. Sono stati convocati la Consulta delle associazioni e il Forum del Terzo Settore, affinché tutti potessero dire la loro. Il tessuto associativo di Quartu Sant’Elena ha messo in campo, idee, proposte e opinioni che convergeranno a breve in un piano definitivo per guidare l’utilizzo della struttura nei prossimi anni. Tecnici e ingegneri sono già al lavoro per progettare gli allestimenti dello spazio, che saranno modulabili e verranno finanziati sia dal comune che dalle associazioni coinvolte. L’obiettivo è avere entro il 2024 uno spazio rigenerato aperto alla città. “Auspichiamo un modello di cogestione, di una visione plurale di quello spazio, fatto di tanti soggetti diversi, per rispondere ai bisogni sociali, con la cultura che funge da leva per trovare forme differenti rispetto all’ormai superato assistenzialismo. Immaginiamo una struttura dove le persone ritrovano la voglia di stare bene insieme, ricostruiscono relazioni, migliorando la qualità della vita quotidiana” ha commentato Erika Mattarella di Liberitutti.

Conclusioni

L’esperienza della Sala Michelangelo Pira ci fornisce una testimonianza potente di come spazi dedicati all’inclusione, alla cultura e all’innovazione sociale possano diventare motori di trasformazione territoriale. Questi progetti non solo rinvigoriscono il tessuto culturale e sociale delle comunità in cui sono inseriti, ma hanno aprono anche nuove prospettive per lo sviluppo economico locale, basato sui principi della sostenibilità e della partecipazione. “Un community hub è un luogo prima di tutto rumoroso: dev’essere uno spazio vivo, ci dev’essere gente che fa cose dentro. È un luogo da cui devono venir fuori lavori e progetti di rete, intercettando nuovi bisogni della collettività, tutto ciò grazie all’ascolto di ‘sentinelle’ delle cooperative che ci lavorano dentro e parlano coi membri della comunità” ci ha risposto Andrea Camedda quando gli abbiamo chiesto di raccontarci la sua visione di questi centri. È tempo di riconoscere e sostenere i community hub non solo come spazi fisici, ma come espressioni vitali di una società che aspira a modelli di vita più inclusivi e sostenibili. Affrontare le sfide future richiederà un impegno collettivo e una visione condivisa. Organizzazioni, istituzioni, imprese e cittadini sono chiamati a collaborare per sostenere e amplificare l’impatto di questi spazi, assicurando che possano continuare a essere luoghi di incontro, innovazione e crescita per le comunità della Sardegna e di tutta Italia.