Una riflessione sul rapporto tra politica e impresa sociale
Daniele Caccherano - Presidente Liberitutti scs
Partecipazione, gestione del bene comune, impatto sociale sono per il terzo settore parte costituente del proprio “essere impresa” e contemporaneamente condanna a vivere in un perenne limbo tra il mondo economico e il mondo della solidarietà gratuita, del volontariato e dell’impegno gratuito. Il convivere sia a livello giuridico, che di afferenza di competenze in un’alea comune di cooperative, imprese sociali e associazioni rende difficile decodificare la reale mission di ogni soggetto del terzo settore.
La parola politica etimologicamente è “organizzazione della comunità”, strutturazione partecipativa delle geo comunità; quindi in un certo senso, l’agire del terzo settore è un agire politico, una relazione biunivoca inscindibile il che diverge con la visione della politica come governo degli enti locali che è sempre maggiormente rappresentabile come sistema di organizzazione del consenso, come radicalizzazioni di posizioni di conflitto tra le diverse componenti comunitarie e non rappresentanza degli interessi della comunità nel suo complesso. Queste due complessità rappresentano lo scenario necessario in cui operare, in cui rappresentarci come terzo settore, come imprese moderne, democratiche mantenendo una forte dimensione etica e di sviluppo della comunità in cui operiamo.
Oggi dovendo fare una fotografia del terzo settore, appare evidente che è un termine inflazionato, in qualche modo depauperato, che vede al suo interno convivere soggetti tra di loro incongruenti per dimensioni, obiettivi operativi, e finalità. La società in cui viviamo è in una fase matura, decadente e quindi il terzo settore rischia di essere nella stessa fase del ciclo di vita. Quindi prima di provare, qui, ad affrontare il tema del rapporto tra terzo settore e politica occorre accettare il fatto di trovarsi in un sistema necessariamente a più velocità, in cui convivono esperienze molto tradizionali con momenti di grande innovazione, dove il tema della rappresentanza è a un punto di quasi rottura e dove il pensiero di innovazione di processo è prevalentemente condotto al di fuori del terzo settore stesso, sia a livello accademico che a livello culturale, questo determina una rappresentazione del nostro mondo spesso distonica e quasi sempre edulcorata e centrata su pochi elementi chiave.
Il terzo settore è impatto sociale, ma occorre chiarirsi su cosa sia l’impatto sociale e secondo quali indicatori deve essere rilevato. Il lavoro è l’emergenza sociale maggiormente rilevante, sia perché molti fenomeni sociali descrivono una parte rilevante della nostra società come non attrezzata ad inserirsi nel mondo del lavoro ( a prescindere dai titoli di studio posseduti), sia e soprattutto perché il sistema delle imprese denuncia tutti i suoi limiti strutturali a produrre posti di lavoro, da questo deriva che un terzo settore politicamente attivo si debba necessariamente occupare di lavoro e di impresa, sia a livello di formazione dei giovani sia a livello di gestione di attività di impresa che pur essendo sostenibili non generano i margini di retribuzione del capitale investito auspicati dagli investitori.
Quindi il terzo settore ha l’opportunità reale di essere, oggi, soggetto imprenditore, che impatta sulle comunità locali generando politiche attive del lavoro e di impresa, per fare questo è però necessario crescere molto, essere in grado di parlare al mondo economico, dotarsi di una classe dirigente con competente manageriali ed eticamente motivata ad affrontare questi temi. Occorre essere in grado di gestire la dimensione, perché se è vero che è assolutamente opportuno riuscire a mantenere tutti i lavoratori coesi e imprenditori tra loro cooperanti, deve essere chiaro che in una fase della società in cui le imprese devono trattare complessità del mercato che richiedono grossa dimensione e capacità di implementazione delle attività su scale che necessariamente trascendono la dimensione locale.
Il secondo tema per essere socialmente impattanti, è quello delle povertà educative e culturali, la nostra società apparentemente cosi tecnologicamente evoluta e con accesso a mille fonti di formazione e di fruizione culturale, vive su larghissima scala il tema del deficit culturale sia a livello familiare, che personale, ebbene il terzo settore nella sua dimensione politica deve essere motore culturale, con una forte attenzione a non divenire l’ennesimo polo di inculturazione, deve pensare progetti volti alla crescita dell’individuo, all’affermazione di modelli di condivisione sociale, che contribuiscano al superamento di una visione sociale che non può più porre tutto il peso di questo processo sulle famiglie, che peraltro sono una delle istituzioni chiave della nostra società in forte crisi di identità e di strumenti di evoluzione culturale del proprio stesso modello.
Il terzo tema fortemente impattante e di necessaria riflessione non può che essere quello dell’abitare, imperniato oggi su un modello positivistico, di proprietà famigliare, che non risponde più a molte delle esigenze emergenze: non funzionale nell’assistenza degli anziani, non funzionale nel generare comunità educante, non sostenibile per lo sterminato mondo di precari e di nuovi poveri. Quindi la sfida politica del nostro agire come terzo settore è l’abitazione come modello ad integrazione della casa, in grado di dare risposte educative, economicamente sostenibili e di sostegno alle persone in difficoltà.
Volendo parlare di noi, gruppo Liberitutti, penso che il nostro impegno debba concretizzarsi innanzitutto in una doppia dimensione politica, verso l’interno, nella continua creazione di un gruppo di impresa votato alla democrazia gestionale interna, capace di proporre un modello organizzativo che riconosca le peculiarità di ognuno, con dignità, con rispetto di una dimensione professionale sempre più qualificata, in grado di portare avanti una battaglia ad ogni discriminazione interna, valorizzante per i giovani lavoratori, noncurante nel fare le proprie scelte delle differenze di genere ne di quelle culturali, religiose o di oltra natura; la seconda dimensione politica è verso il mercato, verso la comunità cercando di proporre un modello socialmente impattante per formazione, per numero di persone a cui riusciamo a fornire un reddito, in grado di proporre innovazione sociale che determini superamento delle povertà socioculturali ed educative.
Possiamo sicuramente dire, di essere un gruppo che ha risposto alle difficoltà progettando, mettendosi al servizio di partner, clienti e beneficiari. Stiamo provando ad ampliare i nostri orizzonti di intervento, ma penso che su questo dovremmo ancora lavorare, essere in grado di indipendenza sempre maggiore da fonti di finanziamento pubblico, in grado di “venderci” sul mercato e generare economie nel nostro agire imprenditoriale da investire in progetti sociali, che in proprio non sarebbero economicamente sostenibili, farlo non nell’ottica di beneficienza, ma di investimento nelle comunità in cui operiamo, per rafforzare il tessuto sociale di queste comunità e generare capitale umano che è la forza su cui il terzo settore, che immagino, fonda i propri maggiori investimenti.
Da anni parliamo e scriviamo di geo comunità, i nostri progetti si rivolgono a comunità di interesse, sempre nell’ottica di generare capitale umano in grado di attrarre risorse economiche per realizzare i nostri progetti, questo è l’impatto sociale che dobbiamo rincorrere nel nostro agire. In economia, anche in quella più liberare e capitalistica si parla di un agire imprenditoriale, che oltre ai suoi obbiettivi capitalistici, produca sulla società esternalità positive, ecco che noi oggi sappiamo che queste esternalità positive sono impatto sociale, e come terzo settore in generale, e come Liberitutti con forza e determinazione, riteniamo che produrre queste esternalità sia il nostro core business, che come co-prodotto produca imprese serie, funzionanti ed economicamente sostenibili, che remunerano l’imprenditore sociale, che nel nostro caso non è una persona fisica o un fondo istituzionale, ma una comunità che userà queste risorse per crescere e re investire su se stessa.
A mio avviso questo è il vero rapporto tra terzo settore e politica, lo vogliamo perseguire senza falsi pudori, rivendicando situazioni economiche adeguate per lavoratori e management, guardando ad ogni povertà non per esaltarne la bellezza, ma per contrastarla ed implementare sistemi formativi e curanti delle distorsioni della società in cui viviamo.
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