Economia circolare ad alto impatto sociale: la sfida lanciata dal comparto della moda sostenibile
Nicoletta Daldanise ha raccolto le testimonianze di Alice Arata, Margherita Alberini, Laura Di Giovanni e Carlo Tibaldi
« Le vite delle donne che prendono parte alle nostre progettazioni si sono intrecciate alla macchina da cucire per caso, attraverso vie diverse. Ago e filo si sono fatti spazio piano piano nelle loro vite, arricchendole e determinando importanti decisioni. Chi nella vita, almeno una volta, ha trovato in un’attività manuale una passione, conosce il sottile piacere di lasciarsi catturare dalle mani e dal loro bisogno di costruire; dal cervello e dalla sua pace nel farsi cullare dalla concretezza; dalla leggerezza delle ore passate dimenticandosi della fame e della sete, del tempo che scorre e delle incombenze della vita.
Quando ci interroghiamo sui significati di termini propri della moda sostenibile come second hand, refashion, slow fashion, upcycling… non perdiamo di vista i volti e le storie, le mani e la vita delle persone: essenza del fare e dell’artigianato. Queste donne si sono messe in gioco, hanno preso posizione e hanno lottato per riuscire a fare della loro passione un lavoro. La loro scommessa è la stessa: ago e filo come armi potentissime che hanno saputo usare per plasmare la vita, che a volte ti trascina lasciandoti solo un piccolo margine di manovra. Credeteci, allungate la mano e afferrate ago e filo. Non potete sapere dove vi porterà. »
Da una testimonianza di Margherita Alberini, Glocal Factory
Tale premessa è confermata dall’origine di questo ramo aziendale, sviluppato nell’alveo dei servizi di accoglienza ai migranti e di aggregazione sul territorio, a partire dalle intuizioni di un gruppo di operatori che hanno immaginato come mettere a frutto le competenze incrociate quotidianamente. Riportare alla luce talenti e competenze di chi viene privato della propria identità da dinamiche di sfruttamento è il primo passo per un reinserimento effettivo e duraturo all’interno del nuovo tessuto sociale.
Le abilità già in possesso degli utenti, spesso riferibili ai saperi artigianali, rimangono bloccate semplicemente per mancanza di opportunità e di risorse finanziarie, ma è di tutta evidenza il fatto che costituiscano una leva estremamente potente in termini sociali.
Così, ad esempio, a partire da un gruppo di donne richiedenti asilo e rifugiate è nato Nidò, un progetto di sartoria sociale che presto si è ampliato ad includere altre competenze relative alla ristorazione e all’intrattenimento. A partire dalla collaborazione con l’artista e designer Francesco Liberti, si è sviluppato un percorso di riscatto personale e di accompagnamento alla microimprenditorialità che include collezioni di abiti e creazioni nate da materiali di scarto, promosse attraverso progetti fotografici, sfilate ed eventi con aperitivi a tema e DJ set.
Tutte le azioni che sono rientrate in Nidò sono state sviluppate attraverso un approccio formativo, mettendo in contatto le donne e gli uomini beneficiari del progetto con professionisti afferenti a discipline diverse in un percorso di collaborazione con altre progettualità interne alla cooperativa. È stato questo il caso, ad esempio, del lavoro con Fiori di Cotone e con l’associazione Krearte, attraverso veri e propri shooting fotografici che hanno coinvolto le stesse saret come indossatrici, formandole allo stesso tempo su come creare book e video per promuovere le proprie linee di produzione.
Un’altra parte fondamentale per la costruzione di questo ecosistema è quella relativa alla confezione dei capi grazie alla messa in gioco di risorse a disposizione di più progetti, così da sfruttare la condivisione delle aree di lavoro per contaminare i processi ed integrare le competenze. Glocal Factory è il luogo di questa sperimentazione, un cocrafting in cui diversi marchi (Au Petit Bonheur, Petit Le Cad, Arbrora, Nidò, Baobab Couture, Anna Maria Carrieri, Episodio Zero, Sosa Baby design), grazie ad una spiccata attenzione per una più ampia missione sociale, si mettono a sistema per sviluppare i propri brand condividendo spazi, macchinari, ma soprattutto sapere artigianale. Così alcuni dei designer si offrono anche come tutor per insegnare alle sarte meno esperte elementi di disegno e tecniche di cucitura, mettendole nelle condizioni di produrre accessori per marchi esterni, come quello di Hind Lafram.
Un ulteriore passo verso l’inclusione sarà l’Atelier per l’integrazione destinato i ragazzi del CAD Superabile, inserimento lavorativo di giovani adulti con disabilità psico-fisica che verranno formati non solo su aspetti produttivi, ma anche su quelli della vendita.
L’ultimo tassello del mosaico moda, infatti, è quello della rete commerciale della cooperativa (Au Petit Bonheur, Il Grifone Kids, Il Grifone, Uno), intesa come strumento per la promozione sociale, culturale ed economica, con obiettivi di inclusione ed integrazione.
Ai progetti sociali, che ne sono il cuore pulsante, viene così garantita visibilità reale e un affaccio immediato sul mercato. La narrazione della filiera diventa, quindi, parte fondamentale del prodotto, che però si caratterizza principalmente per essere un oggetto di alta qualità artigianale. Il personale dei punti vendita è formato per accogliere la collaborazione di alcuni utenti dei servizi e per allestire fisicamente lo spazio come un luogo di esperienza del circuito in prima persona da parte del cliente.
Da questo tipo di racconto si sviluppa un autentico e necessario senso di affidabilità alla base dello statuto di impresa benefit, la quale deve comunicare come suo ultimo scopo quello di reinvestire sui processi d’inclusione, grazie ai ricavi e perfino agli scarti. Nel primo caso, le vendite si traducono in contributi per l’implementazione dei programmi di empowerment cui hanno accesso i lavoratori/utenti dei servizi, nel secondo caso invece l’invenduto diventa materiale per nuovi progetti sartoriali, in un ciclo produttivo caratterizzato da spiccati elementi di circolarità.
Proprio a partire dalla sperimentazione del metodo maturato sul campo, è stato successivamente possibile aprirsi alla collaborazione con altre imprese benefit, ad esempio (RI)GENERIAMO, nata in seno a Leroy Merlin come esperimento di progetto etico a filiera trasparente fin dalla provenienza delle materie prime. Un’ulteriore sfida, è quella della cooperazione con altri attori simili del territorio, che riporta tutto il senso della ricchezza di questo knowhow votato a costruire economie scalabili ad alto impatto sociale, dimostrando che una via etica e solidale per il profit è percorribile e generativa di opportunità per tutte e tutti.
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