Meglio fuori che dentro: perché applicare i valori della giustizia riparativa ai contesti educativi per prevenire fenomeni di marginalizzazione sociale

di Maira Luordo

In uno spot della Heineken diventato virale qualche anno fa, ideato insieme alla The Human Library Organisation, tre coppie di sconosciuti  molto diversi tra loro vengono chiamati a costruire insieme un bancone da bar mentre approfondiscono la conoscenza reciproca, per poi finire – neanche a farlo apposta –davanti ad una bottiglia di birra a discutere apertamente delle proprie diversità. Sempre sui social, qualche anno prima, avevano spopolato gli esperimenti sociali condotti dalla TV danese sul tema del dialogo tra culture e  I viaggi del DNA del gruppo Momondo, arrivando a risultati convergenti: l’ignoranza è alla base del pregiudizio, la conoscenza e l’incontro con l’altro sono la base per costruire un dialogo pacifico e prevenire radicalizzazione e atteggiamenti d’odio.

Cosa c’entra la giustizia riparativa con tutto questo?

“Le prigioni non eliminano i problemi sociali, eliminano gli esseri umani”

Angela Davis, Aboliamo le Prigioni?

Non sono solo i recenti fatti di cronaca che coinvolgono le carceri italiane, sono soprattutto i dati a dimostrare l’inefficacia di un approccio punitivo della detenzione, mostrando come il 68,5% di chi sconta la sua pena in prigione commette un nuovo reato una volta uscito, a confronto di un 19% di recidiva tra chi non sconta la pena in carcere.  Da qui la proposta da parte di associazioni come A Buon Diritto e Antigone di pensare a misure alternative alla detenzione, e di promuovere una ri-lettura della pena che sappia cogliere le sfumature umane di chi il reato lo ha compiuto e di chi lo ha subìto, facendo dialogare, più che scontrare, entrambe le parti.

In sintesi, la giustizia riparativa (o Restorative Justice, in inglese) riunisce le parti che sono state colpite da una forma di danno e dà loro l’opportunità di condividere le proprie esperienze in un modo che può facilitare la comprensione e l’empatia reciproca. Sul tema della giustizia riparativa molto è stato scritto anche in Ristretti Orizzonti, il giornale dalla Casa di Reclusione di Padova, i cui articoli denunciano spesso come la giustizia punitiva non risolva quasi mai il conflitto sociale, e come anzi lo alimenti, adottando un approccio in cui al dolore si somma altro dolore, alla violenza altra violenza.

Secondo Gavrielides, si tratta di un vero e proprio approccio alla vita e alle relazioni interpersonali, in cui l’accento viene posto sulla necessità di riparare il danno (emotivo, psicologico, sociale) includendo le parti interessate in un incontro (diretto o indiretto) e in un dialogo aperto e onesto.

La giustizia riparativa si preoccupa più di fa guarire che di pareggiare i conti, più delle vite spezzate che delle leggi infrante: è più orientata ad incrementare la pace sociale che ad approfondire il conflitto sociale. In ambito giuridico-penale, ad esempio, significa porre l’accento sul ruolo e sull’esperienza delle vittime nel processo penale coinvolgendo tutte le parti interessate in una discussione sul reato, sul suo impatto e su ciò che bisogna fare per riparare il trauma.

Quali opportunità presenta l’applicazione della giustizia riparativa ai contesti educativi, sia formali sia informali?

“La nostra compassione umana ci lega l’uno all’altro, non per pietà o condiscendenza, ma come esseri umani che hanno imparato a trasformare la sofferenza comune in speranza per il futuro.”

Nelson Mandela

La giustizia riparativa può essere intesa e come un insieme di approcci e valori applicabili a contesti diversi e con target diversi. La giustizia riparativa, al contrario della giustizia retributiva – che invece si concentra sul concetto di colpa e di punizione-, si concentra sui concetti di bisogno e corresponsabilità, per guarire e riunire comunità fratturate dalla violenza, dal razzismo, dalla paura e dalla rabbia. Come abbiamo detto, infatti, la giustizia riparativa riconosce il concetto di “danno” come un fenomeno complesso, che include esperienze, motivazioni, interazioni, ruoli sociali, conflitti, bisogni, e offre una serie di strumenti per appianare gli squilibri di potere: in questo senso rappresenta un’enorme opportunità per ri- costruire comunità, sanare conflitti e danni storici e prevenire ulteriori offese.

I valori della giustizia riparativa comprendono la condivisione del potere, l’uguaglianza, la dignità e il rispetto reciproco, il coinvolgimento nel processo decisionale, e le sue pratiche basate sul dialogo non violento:  ha dunque enormi potenzialità per creare un ambiente inclusivo per i giovani di diverse origini etniche, identità di genere e classi sociali, per rompere i cicli di violenza e di esclusione sociale. Ha infatti dimostrato di essere una metodologia efficace nei contesti educativi, sia formali (scuole) sia informali (centri giovanili, luoghi di aggregazione) per stimolare la partecipazione attiva dei giovani e prevenire fenomeni di violenza e abbandono scolastico.

Ad aver capito le potenzialità della giustizia riparativa in ambito educativo è stata l’avvocata e attivista Fania Davis che in un’intervista per Nonviolence Radio ha raccontato come i percorsi di giustizia riparativa che da anni ha attivato nelle scuole di Oakland abbiano riscontrato dopo solo un paio d’anni una riduzione dei tassi di sospensione del 55%, un aumento dei  tassi di diplomati del 60% e un aumento dei livelli di lettura addirittura del 128%, contro l’11% nelle scuole senza percorsi di giustizia riparativa. Anche i tassi di assenza cronica sono diminuiti (24%, contro il 62% nelle scuole non coinvolte), e il tasso di abbandono quadriennale (- 56%, contro il -17% nelle altre scuole).

Ad aver funzionato, secondo la dottoressa Davis, è stato un cambiamento nelle modalità di intervento in caso di violazione delle regole: anziché allontanare i bambini dall’aula, è stato adottato un metodo basato sull’ascolto, sull’incontro e sull’avvicinamento. Il metodo del cerchio, che trae le sue origini dalle culture indigene, punta sulla creazione di uno spazio sicuro per condividere le emozioni e le storie individuali di tutte le persone coinvolte nel cerchio, senza giudizio. Davis sottolinea l’importanza di fare del “cerchio” un momento di condivisione speciale, quasi sacro, usando oggetti “parlanti”, simboli condivisi dal gruppo, e persino una piccola cerimonia all’inizio e alla fine del cerchio.

Esistono altre pratiche che possono essere adottate: a seconda della situazione e dell’evento specifico, infatti, ci sono applicazioni diverse e flessibili delle pratiche di giustizia riparativa. Ad esempio, esistono programmi parzialmente riparativi, che riguardano solo uno dei tre attori generalmente coinvolti in un processo riparativo (reo, vittime, gruppo-comunità), andando a lavorare solo con le famiglie, o solo con la comunità, o solo con il reo; possono includere il Dialogo 1 a 1 o il Dialogo in gruppo, senza un facilitatore, oppure il Dialogo 1 a 1 o il Dialogo in gruppo con la presenza di un facilitatore. Centrali restano comunque i alcuni princìpi cardine: sospensione del giudizio; apertura all’ascolto; relazione; rispetto; umiltà e compassione; responsabilità; riconciliazione.

Questo tipo di approccio può rivelarsi fondamentale nelle periferie urbane e nelle aree fragili dove c’è il rischio di una cronicizzazione dei fenomeni di violenza e di esclusione sociale: i giovani in condizioni di svantaggio sono invitati a condividere le loro storie, a parlare delle loro preoccupazioni, dei bisogni e degli ostacoli in un ambiente sicuro e inclusivo, sostenendo lo scambio interculturale tra i gruppi e l’accettazione verso la diversità.  

La giustizia riparativa, per il suo approccio trasversale, si presta ad essere combinata ad altre discipline. Tra i metodi utilizzati per costruire la fiducia e l’empatia reciproche ci sono l’arte e il teatro, ciò dovuto, in parte, alla natura terapeutica dell’arte: l’arte, in quanto sforzo introspettivo ed espressivo, può incoraggiare l’elaborazione emotiva e il tipo di guarigione attiva e produttiva a cui mira la Giustizia Riparativa.

 Esiste un numero crescente di prove che dimostrano come la giustizia riparativa e l’arte possano avere un effetto curativo ma anche di coesione comunitaria all’interno dei contesti giovanili. Nel corso degli anni, soprattutto negli Stati Uniti, dove il tema sembra particolarmente caldo, sono nate diverse organizzazioni il cui intento è quello di combinare l’arteterapia e la giustizia riparativa con focus specifico ai contesti giovanili. L’arte offre infatti opportunità nelle comunità emarginate per esplorare l’autoespressione e incoraggiare l’autostima e lo sviluppo emotivo, necessari per attuare la riparazione, rivelandosi particolarmente utile  quando si lavora con gli adolescenti.

Sei un operatore giovanile, un’insegnate o un educatore e vorresti imparare ad applicare il metodo della giustizia riparativa al tuo lavoro sul campo?

Consulta la piattaforma di apprendimento online e i risultati del progetto DigiArts – Digital Arts Dialogue, il progetto co-finanziato dal programma europeo Erasmus+ che si prefigge di creare una comunità di pratica legata ai temi dell’inclusione sociale dei giovani, della giustizia riparativa e dei metodi artistici.