Inoltre, in un momento in cui l’accesso ai servizi ha dovuto annullare l’attività in presenza, la tecnologia ha rappresentato il mezzo più importante per accedere a misure e azioni di informazione, formazione e di previdenza sociale.
In questo contesto, la vulnerabilità sociale si traduce in aumento delle pratiche di sfruttamento lavorativo, soprattutto nel settore agricolo che in termini numerici corrisponde ad un range di circa 15% – 20% in più di lavoratori immigrati[2] nelle campagne italiane, dai 40 ai 55 mila persone. In altri termini, il tasso di irregolarità lavorativa è passato dal 39% del biennio 2018-2019 al 48% nel periodo Covid.
È evidente, quindi, che la pandemia ha peggiorato un sistema di illegalità degli immigrati agricoli ed è in questo quadro complesso ed emergenziale che bisogna tentare percorsi di empowerment socio economico a difesa dei diritti essenziali.
Note
[1] Osservatorio Placido Rizzotto, FLAI-CGIL: Quinto rapporto su agromafie e caporalato (Roma, 2020).
[2] Centro studi Tempi Moderni: www.tempi-moderni.net